Il monte Aquila

Tante volte percorsa eppure entusiasmante come mai. La cresta del Portella in invernale, come mai vista e vissuta prima.


Nell’inconscio dei montanari ripercorrere gli stessi sentieri o ritornare sugli itinerari già vissuti è solitamente un’idea che viene rifiutata, a meno che non sia passato molto tempo dall’ultima volta, a meno che non ci siano condizioni diverse dall’ultima volta, a meno che il piacere di accompagnarci qualcuno non vinca tutti i dubbi, a meno che non valga veramente la pena, a meno che non si sia particolarmente affezionati al posto. A meno che…, a meno che …, c’è sempre un “a meno che” e tutte le volte che alla fine ci troviamo a fare questo compromesso siamo felici di averlo fatto. Chissà perché a priori il primo atteggiamento che si ha di fronte a proposte di ripetizioni è quello del rifiuto ? Quando poi si ritorna sui sentieri del Gran Sasso come è accaduto a noi in questa escursione, al cospetto del Corno Grande, con le più belle vette del gruppo attorno, con una delle nevicate più abbondanti degli ultimi anni, in una bellissima giornata di sole e di nuvole tutt’attorno, ogni indecisione sull’ennesimo ritorno si sgretola immediatamente. Vado per gradi; Marina non era mai salita a Campo Imperatore e dintorni in invernale ed era da tempo che ne aveva manifestato il desiderio in maniera più che chiara. Io non ci salivo durante la stagione invernale da tanti anni, mi ci ero avventurato tante volte nel passato, chissà perché ma in quei posti così familiari sembra sempre che ci sei stato il giorno prima, e per quell’inconscio di cui sopra recalcitravo un pochino. Arriviamo a Fonte Cerreto in anticipo rispetto ai piani, ci scappa un caffè e riusciamo a prendere anche la prima corsa della funivia; piena zeppa, tutti sciatori, per un attimo il rimpianto di non essere attrezzati per qualche discesa ci prende. Ma solo il tempo necessario a salire, poi, quando Campo Imperatore e tutta la corona di creste intorno ci investe con il suo biancore accecante rimane solo la voglia di salire. Non c’è neve nel piazzale o ce ne è poca, ci avviamo verso l’osservatorio, del sentiero estivo non c’è traccia coperto come è da un candido, immacolato e sembra anche spesso manto nevoso; nonostante troppe volte sia passato alla cronaca per sventure invernali non facevo pericoloso quel versante, non c’erano, per quella che è la mia esperienza, rischi di slavine, i costoni ripidi li sopra non mostravano cornici o cumuli instabili, ma non c’era motivo per avventurarcisi, sarebbe stata solo tanta fatica per niente, dal momento che i duecentocinquanta metri del pendio fino al rifugio del Duca degli Abruzzi erano presso che quasi scoperti. Abbiamo seguito i tornanti del sentiero che salgono fino in cresta al Portella, in alcuni tratti la combinazione del calpestio dei giorni precedenti e del freddo notevole della notte avevano contribuito a stendere duri strati ghiacciati ma i ramponi non servivano, bastava prudenza ed un minimo di esperienza. L’arrivo in cresta è di quelli che vorresti avere tutte le volte che svalichi un pendio, rimaniamo indifferenti anche al cambio di quiete repentino dovuto alla freddina brezza che saliva dalla valle sottostante; Campo Pericoli è un oceano di neve immacolata, le creste del Portella e della sella dei Grilli lo fanno apparire come un immenso catino, spuntano le piramidi del Pizzo Cefalone e dell’Intermesoli, sul lato Est, tra veloci sfilacciamenti di nuvole che gli nascondono la cima si impone il Corno Grande, invaso di neve anche lui, la direttissima in bella evidenza a richiamare sogni ancora proibiti come una odalisca che ti danza davanti. Che meraviglia, per quante volte vieni da queste parti l’ultima è sempre diversa da tutte le altre, e in inverno, come oggi, la più bella di tutte le altre. E’ arrivato il momento di attrezzarsi come si deve, il fianco del monte Portella concedeva una certa sicurezza anche senza ramponi ma la cresta che avevamo davanti si presentava subito molto carica, molto affilata e molto ripida in entrambi i versanti, non si affondava nemmeno tanto, in alcuni tratti affatto. Al riparo dal vento presso il rifugio la “liturgia” dell’attacco dei ramponi, che di solito ti fa imprecare, si svolge in estrema semplicità. Un pallet abbandonato offre l’appoggio giusto manco fossimo oltre i 2000 metri. Seguiamo per lo più l’affascinante filo sottile di cresta, di neve se ne è ammucchiata davvero tanta ma è dura e ben consolidata, si avanza in equilibrio tra i due versanti, ripidi come mai avevo avuto sensazione fino ad oggi, senza difficoltà o sentori di smottamenti. Si sale e si scende nel versante che si dirige ad Est, la Cima del Portella Est sembra più alta ed immensamente ripida, soprattutto nel versante verso Campo Pericoli dove strapiomba, il versante verso Campo Imperatore è un paginone bianco ripido e profondo, laggiù ad un certo punto, si sa che c’è , si intuisce il salto verso la valle. Per fortuna la consistenza della neve è ottimale, una scivolata sarebbe davvero interminabile in quel tratto privo di avvallamenti e rocce sporgenti a cui potersi raccomandare. Una scivolata in quel punto e devi rispolverare nel solo tempo di pensarle tutte le tecniche di arresto che hai studiato. Ma non ci si pensa. E’ incredibile come una nevicata abbondante possa trasformare il territorio! Chi ha mai temuto, anche per un solo secondo la cresta del Portella? In estate nemmeno ci si accorge delle pendenze tanto è agile e confortevole il sentiero. Non c’è fretta però, c’è un mondo intorno bianco ed incantato che va rimirato e gustato fino allo sfinimento. Verso Sud-Ovest ci sono le nostre montagne imbiancate; fino al Velino , fino alla Majella arriva la vista, anche se sono davvero sufficienti a farci godere solo le montagne del Gran Sasso che abbiamo tutto intorno. Conoscete bene questa cresta e le montagne che ci sono intorno, conoscete bene Campo Imperatore, tutta la cresta del centenario, quella della Scindarella, tutte le montagne intorno a Campo Pericoli fino al Corvo, Il Corno Grande; immaginatele immacolate, ricoperte, invase di neve, sfavillanti, accecanti. Ogni fotogramma catturato dagli occhi è meno bello di quello successivo, e così è stato da ogni angolazione via via che si procedeva per tutta la giornata. Da prospettive diverse sembrava di poter vedere montagne diverse. Che sensazione di immenso, di bello, di essere in cima al mondo. Il cielo turchese, interrotto dalle colonne di nubi che quà e là che si formavano e sparivano e dai cumuli che negli orizzonti tutti intorno si andavano formando, si esaltava e contrastava con l’abbagliante sfavillio della neve. Su e giù in cresta, non ricordavo nemmeno così tanti dislivelli, forse le ombre sul candore della neve amplificavano le sensazioni, forse la concentrazione nei movimenti faceva guardare il territorio con un processo mentale più attento ed accurato; in un piccolo tratto, proprio la cima Est del Portella, che si mostrava scomposto, meno affilato, con qualche cumulo non facilmente decifrabile, abbiamo preferito scendere una quindicina di metri sul versante Sud, quello Nord precipita, e traversare per un pò, negli altri ci siamo mossi con facilità; solo dove la cresta si abbassa, in prossimità dell’attacco del sentiero estivo in vista della sella del monte Aquila ho trovato qualche difficoltà imprevista; proprio dove la cresta si allarga, dove vai più tranquillo, dove ormai hai davanti solo le rotondità del monte Aquila invisibili ponti di neve cedono sotto il mio peso. Dove poco , dove tanto sono sprofondato diverse volte senza poter prevedere ed anticipare nulla, Marina col suo peso leggero viaggiava che era una meraviglia. Per un tratto mi sono spostato sul versante verso Campo Pericoli dove lo spessore della neve sembrava meno alto quando finisco per cadere fino alle spalle dentro una buca profonda. Mi sono fermato perché le braccia rimaste aperte hanno fatto da compasso e perchè per fortuna il rampone si è piantato nella parete della buca ed ha alleggerito il peso sulle spalle, potevo rischiare di farmi male davvero, sotto il rampone conficcato nella neve c’erano ancora sessanta centimetri di vuoto. In pratica sarei sprofondato interamente dentro una buca. Fenomeni diversi dai seracchi dei ghiacciai, nemmeno il confronto vale la pena, ma pericolosi lo stesso quando il vuoto che ti si spalanca supera il metro e sotto trovi le rocce; probabilmente il sole le scalda e queste lentamente provocano scongelamenti negli strati inferiori che provocano a loro volta vuoti invisibili in superfice, forse sono anche scherzi del vento, fatto sta che non li vedi. Sarebbe stato un divertente problema quello di dover uscire da una buca di un paio di metri di profondità, mi sono divertito a pensare alla soluzione mentre continuavo verso la vetta. In ogni caso conseguenze alla caduta ci sono state, l’escursione è continuata senza problemi ma una volta a casa, dopo una bella doccia, la caviglia del piede dove si è scaricato il peso quando il rampone è rimasto agganciato, ha cominciato a far male e si è gonfiata, per due giorni ho camminato a fatica e per tutta la settimana ho comunque avuto difficoltà ad appoggiare il piede. E’ andata comunque bene così. Dalla sella del monte Aquila sotto il primo salto verso la cima, c’erano addirittura tratti di prato che affioravano dalla neve, il vento aveva fatto evidentemente un grande polverone; poca neve e più ghiaccio però, le punte dei ramponi azzannavano i ciuffi d’erba congelati, fin sopra il primo salto dove tutto l’ambiente è cambiato drasticamente. Lo spessore è ritornato molto alto mentre la cresta ritornava ad essere sottile, di fatto i pendii aumentavano vertiginosamente, soprattutto quello Est che precipitava verso il vallone dell’Inferno. Cumuli formati dal vento si erano formati sul filo di cresta ma nulla sembrava instabile o precario. Di una bellezza oltre quella che si può sperare appariva il profilo della vetta, in controluce leggermente persi nella caligine le braccia della croce spuntavano dalla piatta e breve linea di vetta , mentre dagli scoscesi profili laterali emergevano la lunga, grossa e bianca mole del Brancastello, verso Est e la piana immacolata di Campo Imperatore delimitata dalla lunga dorsale dello Scindarella-San Gregorio a Paganica verso Ovest. Un momento indescrivibile che sai già ti mancherà un secondo dopo averlo vissuto. Pochi passi ancora e quelli che sembravano i bracci della croce coperti dal profilo della vetta erano invece tutto ciò che era visibile della croce stessa. C’era più di un metro e mezzo di neve in cima, ci siamo permessi di usare i bracci della croce come sedili, comodi per consumare uno snack, comodi per fermarsi un momento ad ammirare quanto avevamo intorno. Il mese di nevicate continue si faceva vedere, dove arrivava l’occhio, tutto era immacolato, ogni montagna, ogni gruppo montuoso era sovrastato dal manto nevoso, giù a Campo Imperatore, la strada fino agli impianti dello Scindarella era diventata una pista da raccordo per gli sciatori. L’immobilità dell’aria, la nebbia che dal versante Est si era un po’ ritirata e permetteva al sole di scaldarci, tutto era perfetto e non ci veniva in mente di tornarcene sui nostri passi. Peccato che Il paretone, la valle dell’Inferno, tutto il Corno Grande fosse quasi totalmente avvolto dalle nubi. Quel pilastro di roccia incombente era il solo particolare che mancava a quel quadro perfetto. Per un attimo salendo avevamo programmato un anello, scendendo la cresta dalla parte opposta fino a Vado di Corno saremmo, lemmi lemmi, risaliti per la valle e poi per la strada, o per una delle valli sotto lo Scindarella. Ma era tutto così bello, tutte quelle creste, le montagne del Gran Sasso che Marina non se l’è sentita di rinunciare a tanta bellezza sulla via del ritorno. Ed è così che dopo una buona mezz’ora di permanenza sulla cima del monte Aquila abbiamo ripreso la via del ritorno, sui nostri passi, per la via dell’andata, ma questa volta con un’altra prospettiva, un modo per non farsi sfuggire nulla, un modo per gustarsi ogni dislivello, ogni prospettiva, ogni ombra che si andava allungando e faceva apparire ancora più alte tutte le creste che avremmo dovuto ripercorrere. Di nuovo su è giù per la cresta del Portella, da quà l’anticima Est sembra ancora più alta e più ripida, più verticale rispetto a Campo Pericoli. Effetto delle ombre sulla neve o distrazione nelle osservazioni dei periodi estivi. Certo è che l’inverno aumenta i rischi, è vero, ma è altrettanto vero che le montagne sono infinitamente più belle. Quando siamo di nuovo al rifugio, il cielo si va coprendo, la perturbazione annunciata mostra già le prime avvisaglie del fronte nuovoloso, il tempo giusto per riguardarsi un momento indietro e rendersi conto di essere stati fortunati per essersi goduti questi panorami incredibili in una giornata così bella. La discesa verso la funivia si è consumata in mezzo alle nubi che si affrettavano a conquistare tutto, il momento giusto per riprendere gli impianti e scendere. Tutto ciò che c’era da prendere era stato preso. C’era voglia di farsi un nodo al fazzoletto però, di appuntarsi un impegno con queste montagne per il prossimo anno, stessa condizione e stessa giornata sfolgorante da cercare dall’inizio della stagione, ma non lo abbiamo fatto; rimarrà il desiderio di farlo, tra le tante montagne che dovremo ancora andare a conoscere, in un inverno che nevicherà ancora tanto, in una giornata preannunciata di tempo stabile, prima o poi, certamente ritorneremo su quelle creste o un po’ più in là, per il solo gusto di poterci riempire gli occhi di nuovo.